Ho sempre pensato che Battisti fosse, absit iniuria verbis, un ignorante. E lo dico con il dovuto rispetto. Anzi, secondo me la sua grandezza era tutta lì. Battisti era una macchina musicale, un pentagramma umano, un genio della composizione. E non era minimamente interessato a tutto il resto. Avrebbe potuto cantare numeri in sequenza o nomi di case farmaceutiche e i suoi brani sarebbero dei capolavori comunque. Proprio per questo secondo me ha sempre cercato parolieri che scrivessero testi che non dicessero nulla di particolare, senza messaggio, senza contenuto, affinché la sua musica risaltasse ancora di più. Con Mogol ci è riuscito benissimo.
Sul nuovo numero di Fili d’aquilone, nella mia consueta rubrica per le orecchie, parlo di quel monumento della musica italiana che è Anima Latina di Lucio Battisti, un disco che quest’anno di anni ne compie esattamente quaranta.